221.
Meā causā (a causa mia); meā ipsius causā (per causa, di me stesso) (§ 238, 9); tuā, suā, nostrā, vestrā causā. Ea de causa e ob eam causam, perciò: amicorum causa o amicorum gratia, posponendo al genitivo i nomi causa e gratia (per riguardo degli amici, § 164 Nota 1, n. 4). Con gli altri nomi si usa l'ablativo: consilio Themistoclis (per consiglio di Temistocle); iussu consulis (per ordine del console); iniussu populi (senza comando del popolo); mandatu meo (per mio incarico); e così monitu, admonitu, permissu ecc.


Alcuni dei verbi anzidetti possono anche costruirsi con le preposizioni, come laetari aliqua re e in aliqua re; dolere aliqua re e de o exaliqua re. Si dice sempre: laborare ex capite (aver mal di capo) e similmente: laborare ex dentibus; ex intestinis; ex pedibus. Gloriari regge anche la preposizione de o in: gloriari de e in aliqua re. Si dice quasi sempre se iactare in aliqua re (vantarsi di qualcosa) e talvolta anche iactare aliquam rem (vantare qualcosa). Acquiescere (accontentarsi) si costruisce quasi sempre con in: acquiescere in aliqua re.



222.
Ablativo di prezzo. I sostantivi denotanti il prezzo o il valore di checchessia, quando si riferiscono a verbi come “stimare, costare, valere, comprare, vendere ecc.”, si mettono all'ablativo.

Otium non gemmis neque purpura venale (est) neque auro. Viginti talentis unam orationem Isocrates vendidit. Darīus mille talentis percussorem Alexandri emere voluit.

Si dice: quanti habitas? (quanto paghi di pigione?); parvo (poco); duobus millibus nummum (duemila sesterzi).



223.
Gli aggettivi dignus (degno) e indignus (indegno) si costruiscono ordinariamente con l'ablativo. Riguardo al costrutto dignus qui, vedere il § 258.

Excellentium civium virtus imitatione, non invidia digna est. Nihil magno et praeclaro viro dignius placabilitate et clementia. In summa difficultate nulla vox audita est populi Romani maiestate indigna.

Anche il verbo dignor (considerare degno; esser stimato degno) regge l'ablativo. Res dissimiles saepe consimili laude dignantur.



224.
Ablativo di modo. Il nome che indica il modo con cui si a una cosa si mette all'ablativo:

1° senza preposizione, quando esprime l'idea del modo in genere, come hocmodo, hac ratione (in questa maniera); graeco more (alla greca; i costumi dei Greci); pecudum ritu (a guisa delle bestie); nostra consuetudine (secondo la nostra usanza); hac lege (a questo patto); certis conditionibus (sotto alcune determinate condizioni);