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Papa Gregorio I
(✶540≈ †604)
Papa Gregorio I, detto papa Gregorio Magno ovvero il Grande (Roma, 540 circa – Roma, 12 marzo 604), fu il 64º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica, dal 3 settembre 590 fino alla sua morte. La Chiesa cattolica lo venera come santo e dottore della Chiesa. Anche le Chiese ortodosse lo venerano come santo.
Sebbene il suo pontificato si sia svolto in uno dei periodi più bui della storia italiana, conservò una incrollabile fiducia nella forza del Cristianesimo; una delle anime più luminose del Medioevo europeo svolse il suo ministero racchiusa in un corpo minuto e sempre malato, ma dotato di una grandissima forza morale.
Figlio di santa Silvia e di Gordiano, Gregorio Magno nacque verso il 540 dall'antica famiglia senatoriale degli Anicii. Alcuni genealogisti collocano fra gli antenati di Gregorio i papi Felice III e Agapito.
Carriera politica
Dopo studi di elevato livello in grammatica e diritto, entrò nella vita pubblica ricoprendo la prestigiosa carica di praefectus urbi Romae (prefetto della città di Roma). In questa veste è citato in un documento databile all'anno 573
Da monaco a delegato apostolico
Devoto ammiratore e biografo di Benedetto da Norcia (anch'egli appartenente alla Gens Anicia), impegnò tutte le sue notevoli sostanze per l'assistenza ai bisognosi e per trasformare i suoi possedimenti a Roma e in Sicilia in altrettanti monasteri. Egli stesso si fece monaco rinunciando all'altissima carica pubblica; iniziò la vita cenobitica e si dedicò con assiduità alla contemplazione dei misteri di Dio nella lettura della Bibbia. Non poté dimorare a lungo nel suo convento del Celio perché, dopo essere stato ordinato diacono, verso il 579 papa Pelagio II lo inviò come apocrisario presso la corte di Costantinopoli per chiedere aiuti contro i Longobardi.
Lì restò per sei anni e si guadagnò la stima della famiglia imperiale e dello stesso imperatore Maurizio I, salito al trono nel 582, di cui tenne a battesimo il figlio Teodosio. Nel 584 ottenne per Roma l'aiuto che il papa aveva chiesto, ma fu di tale modesta entità che non servì a risolvere i problemi per i quali era stato invocato; l'imperatore (a cui ormai la sorte di Roma non sembrava interessare più tanto), non fece altro e il pontefice, ritenendo Gregorio inadatto al compito affidatogli, lo richiamò a Roma e lo sostituì.
Al rientro a Roma, nel 586, tornò nel monastero sul Celio; vi rimase però per pochi anni, perché morto il 7 febbraio 590 papa Pelagio II, vittima di una pestilenza, fu chiamato al soglio pontificio dall'entusiasmo dei credenti e dalle insistenze del clero e del senato di Roma, di cui era stato segretario. Gregorio cercò di resistere alle insistenze del popolo, inviando una lettera all'Imperatore Maurizio in cui lo pregava di intervenire non ratificando l'elezione, ma il praefectus urbi di Roma, di nome Germano, o forse il fratello di Gregorio, intercettò la lettera e la sostituì con la petizione del popolo che chiedeva la ratifica della sua elezione a pontefice. In attesa della risposta Gregorio si astenne da ogni attività propria del suo ruolo, che venne svolta da una sorta di “triumvirato” ecclesiastico.
L'inverno 589-590 fu particolarmente funesto per la penisola italiana. Alle violenze perpetrate dai Longobardi si aggiunse una stagione eccessivamente inclemente, con nubifragi e inondazioni che colpirono particolarmente il settentrione, causando vittime e danni incalcolabili. Ma anche il Tevere subì una piena particolarmente violenta, che inondò gran parte della città provocando vittime e danni ingenti; ne seguì un'epidemia di peste, che decimò la popolazione e colpì anche il papa Pelagio II. Poiché ancora nell'estate del 590 la situazione non accennava a tornare alla normalità, in una predica del 29 agosto Gregorio esortò i fedeli alla penitenza, e per implorare l'aiuto divino organizzò una solenne processione per tre giorni consecutivi alla basilica di Santa Maria Maggiore.
Secondo la tradizione, mentre Gregorio attraversava, alla testa della processione, il ponte che collegava l'area del Vaticano con il resto della città (chiamato allora “Ponte Elio” o “Ponte di Adriano”, oggi Ponte Sant'Angelo), ebbe la visione dell'Arcangelo Michele che, in cima alla Mole Adriana, rinfoderava la sua spada. La visione (che secondo alcune fonti fu condivisa da tutti i partecipanti alla processione) venne interpretata come un segno celeste preannunciante l'imminente fine dell'epidemia, cosa che effettivamente avvenne. Da allora i romani cominciarono a chiamare la Mole Adriana “Castel Sant'Angelo” e, a ricordo del prodigio, posero più tardi sullo spalto più alto la statua di un angelo in atto di rinfoderare la spada. Ancora oggi nel Museo Capitolino è conservata una pietra circolare con impronte dei piedi che, secondo la tradizione, sarebbero quelle lasciate dall'Arcangelo quando si fermò per annunciare la fine della peste.
Finalmente arrivò da Costantinopoli la ratifica all'elezione pontificale; sebbene Gregorio (che probabilmente non sapeva che la sua lettera era stata sostituita) rinnovasse le sue reticenze alla missione a cui era chiamato, il 3 settembre 590 venne consacrato papa. L'ascesa quasi “forzata” al soglio pontificio lo turbò profondamente e provocò in lui una sincera contrarietà, che solo la fede incrollabile e la convinzione di poter svolgere un ruolo di guida per la redenzione dell'umanità intera, riuscirono a fargli superare.
Il pontificato
Nonostante le riserve all'accettazione del compito che lo attendeva, fu amministratore energico, sia nelle questioni sociali e politiche per supportare i bisognosi di aiuto e protezione, sia nelle questioni interne della Chiesa; sebbene fosse fisicamente piuttosto esile e cagionevole di salute, si dimostrò uomo di azione, pratico e intraprendente. E infatti uno dei primi doveri che si impose fu la moralizzazione ed epurazione della Curia romana, in cui erano presenti troppi personaggi, laici ed ecclesiastici, che avevano interessi ben diversi da quelli spirituali e di carità; molti incarichi furono dunque attribuiti a monaci benedettini. L'altro dovere primario cui si dedicò fu quello insito nel ruolo di vescovo di Roma, utilizzando i beni propri e quelli derivanti dalle donazioni dei privati, non a beneficio di vescovi e diaconi, ma in favore del popolo della città di Roma che, come lamenta in una sua predica, è “oppressa da uno smisurato dolore, si spopola di cittadini; assalita dal nemico, non è più che un cumulo di macerie”.
Molti furono i provvedimenti intesi ad un riordino dell'istituzione monastica e alla regolamentazione dei rapporti di quella con l'organizzazione ecclesiastica ed i vescovi in particolare. Assicurò una maggiore autonomia giuridica per i monasteri, la cui vita economica non doveva in alcun modo subire l'ingerenza dei vescovi, chiamati a compiti spirituali; regolamentò i rapporti tra scelta monacale e vita familiare, generalmente dando la priorità ai diritti della seconda; sottrasse, quanto più possibile, gli ecclesiastici ai tribunali civili, non solo in ossequio ad una tradizione radicata, ma soprattutto perché non aveva alcuna fiducia delle autorità longobarde e bizantine, particolarmente corruttibili; molti vescovi forse non erano da meno, ma su di loro poteva comunque esercitare la sua autorità.
Tentativi di pace con i Longobardi
Ma compie anche mosse politiche. Nonostante avesse più volte invocato invano l'aiuto militare dell'Impero, i Longobardi continuavano a devastare l'Italia facendo fuggire il clero e catturando prigionieri che dovette riscattare direttamente con le sue sostanze personali. Inoltre nel 591 il duca longobardo di Spoleto Ariulfo intraprese una politica espansionistica ai danni dei Bizantini, conquistando le città del corridoio che collegava Roma con Ravenna e assediando la stessa Roma, da cui si ritirò solo dopo aver estorto un tributo.
Nonostante le richieste, nessun aiuto venne dall'esarca di Ravenna, che «...rifiuta di combattere i nostri nemici e vieta a noi di concludere la pace». Papa Gregorio, infatti, premeva per una tregua tra Imperiali e Longobardi affinché ritornasse la pace nella penisola e si ponesse fine alle devastazioni belliche, ma Romano, l'esarca, non era d'accordo e fece di tutto per ostacolarlo, al punto che l'anno successivo si mosse per rompere le trattative che Gregorio aveva intavolato con il duca di Spoleto per una pace separata, riconquistando le città del corridoio umbro e rompendo le trattative di pace che Gregorio aveva avviato con i Longobardi.
La campagna di Romano provocò la reazione di re Agilulfo, che riprese Perugia e poi nel 593 pose l'assedio a Roma. Gregorio si trovò a dover provvedere, a fronte di un inefficiente esercito imperiale (oltretutto mal pagato) il cui aiuto latitava, alla difesa di Roma, e per evitare ulteriori sofferenze e lutti alla città si vide costretto a convincere Agilulfo a levare l'assedio pagando di tasca propria 5000 libbre d'oro e offrendo al re longobardo l'assicurazione del pagamento annuo di un'ingente tributo. In questo modo Gregorio si sostituiva, arbitrariamente, all'autorità civile cittadina e al senato, che di fatto non avevano ormai più alcun ruolo politico riconosciuto; e se al re longobardo interessava solo il denaro, il popolo romano riconobbe in Gregorio l'unico salvatore.
Questa, e le continue, successive, inutili insistenze per una pace, subirono la disapprovazione dell'Imperatore Maurizio che, concordando con la politica dell'esarca, accusò il papa di infedeltà all'Impero e di stupidità per i suoi tentativi di negoziazione. Gregorio scrisse all'imperatrice per ricordarle come dopo tanti anni di oppressione da parte dei Longobardi, gli imperatori d'Oriente ben poco avevano fatto e speso in favore di Roma (e molto invece per Ravenna, loro ultimo avamposto in terra italiana), mentre la città e la Chiesa avevano bisogno di sopravvivere in pace; ma scrisse anche all'imperatore:
«...Mi è stato detto di essere stato ingannato da Ariulfo, e sono stato definito "sempliciotto",... che significa indubbiamente che sono uno sciocco. E io stesso debbo confessare che avete ragione... Se non lo fossi, non avrei mai accettato di patire tutti i mali che ho sofferto qui per le spade dei Longobardi.
Voi non credete a quello che dico riguardo ad Ariulfo, riguardo al fatto che sarebbe disposto a passare dalla parte della Repubblica, accusandomi di dire menzogne. Dato che una delle responsabilità di un prete è di servire la verità, è un grave insulto essere accusati di menzogna. Sento, inoltre, che viene riposta più fiducia nelle asserzioni di Leone e Nordulfo, invece che alle mie... Ma quello che mi affligge è che la stessa tempra che mi accusa di falsità permette ai Longobardi di condurre giorno dopo giorno tutta l'Italia prigioniera sotto il loro giogo, e mentre nessuna fiducia è riposta nelle mie asserzioni, le forze del nemico crescono sempre di più...»
(Papa Gregorio Magno, Epistole, V,40..)
E non risparmia le accuse all'esarca Romano, «la cui malizia è persino peggiore delle spade dei Longobardi, tanto che i nemici che ci massacrano sembrano dolci in comparazione con i giudici della Repubblica che ci consumano con la rapina...»
Le trattative con i Longobardi, comunque, continuarono, e subirono un'accelerazione grazie anche all'aiuto del nuovo esarca di Ravenna Callinico. Alla fine del 598, Longobardi e Imperiali firmarono finalmente una pace, che probabilmente però era solo una tregua armata che durò solo tre anni, nonostante Paolo Diacono la definisca "fermissima". Gregorio ne approfittò immediatamente per estendere i suoi interventi in favore dei bisognosi anche a province lontane da Roma che dunque, prive ormai di un vero potere centrale (a parte quello longobardo che poco si curava di problemi economici e sociali delle popolazioni italiche), erano sempre più portate a riconoscere come unica guida di riferimento quella del vescovo di Roma, la cui azione “non è tuttavia indirizzata al rafforzamento dell'autorità politica della Chiesa”, chiarisce Rosario Villari, in quanto “Gregorio non ha programmi di potere; aspira anzi in conformità con la sua vocazione monacale al distacco dal mondo, a convertire il maggior numero di non credenti, a riformare la Chiesa per renderla più attiva e capace di svolgere in pieno questo compito urgente”.
In coerenza con questa visione della missione della Chiesa si pone il suo programma di evangelizzazione e conversione dei Visigoti di Spagna di re Recaredo I, e dei Longobardi, coi quali, dopo la pace del 598, riuscì a stabilire rapporti di buon vicinato avviando la loro conversione dall'eresia ariana grazie anche all'influente sostegno della regina Teodolinda. Analogo sforzo missionario svolse in favore dei Britanni, presso i quali Gregorio inviò dei monaci benedettini per cristianizzare le popolazioni; fu infatti grazie all'aiuto dei re Franchi, con i quali Gregorio fu in continui rapporti e in eccellente relazione, e in particolare della regina Brunechilde, che riuscì ad ottenere la conversione della Britannia, affidandola ad Agostino, priore del convento di Sant'Andrea, poi consacrato vescovo di Canterbury.
Non sono chiari i motivi che spinsero Gregorio all'opera di cristianizzazione di un paese tanto lontano (e da tanto tempo perso alla romanità), quando c'erano altri popoli più vicini a Roma, e mentre era in corso l'emergenza longobarda. Le fonti medievali hanno tentato di fornire una spiegazione ricorrendo alla leggenda secondo la quale Gregorio, quand'era ancora monaco, si sarebbe convinto della necessità di convertire la Britannia per aver visto alcuni giovani schiavi britannici esposti per la vendita, bellissimi di aspetto e pagani, tanto da aver esclamato, rammaricato: “Non Angli, ma Angeli dovrebbero esser chiamati…”. Comunque in meno di due anni diecimila Angli, compreso il re del Kent Ethelbert, si convertirono. Era questo un grande successo della politica di Gregorio, che mirava ad eliminare gli avversari della Chiesa e ad accrescere l'autorità del papato con la conversione dei "barbari".
Rapporti con Costantinopoli
Oltre che per i problemi connessi alla pace con i Longobardi, i rapporti con l'Imperatore Maurizio non sempre furono cordiali per vari altri motivi.
Quando l'Imperatore, per fermare la fuga dei decurioni i quali, per sfuggire alle loro responsabilità sicuramente onerose, entravano in monastero, promulgò un editto con cui vietava ai funzionari pubblici e ai soldati privati di farsi monaci, Gregorio protestò: se non aveva nulla da obiettare sulla prima parte della legge (quella riguardante i funzionari pubblici), obiettò invece sulla proibizione ai soldati imperiali di diventare «soldati di Cristo», ovvero di entrare a far parte del clero.
Dal 594 al 599 il motivo della disputa fu Massimo, vescovo di Salona, accusato dal papa di simonia; Massimo, favorito dalla corte imperiale, poté mantenere il seggio e arrivò addirittura ad accusare Gregorio di aver fatto uccidere il vescovo dalmata Malco, inviato in Italia per rendere conto su una presunta cattiva amministrazione del patrimonio papale e deceduto improvvisamente in esilio.
Lo scontro con l'imperatore divenne particolarmente aspro nel 595. quando il Patriarca di Costantinopoli Giovanni IV Nesteutes si proclamò “Patriarca Ecumenico”, dichiarandosi di autorità pari al papa. Di fronte alle proteste di Gregorio, il patriarca cercò il sostegno dell'Imperatore, che scrisse al papa esortandolo a porre fine alla questione, avendo la Chiesa bisogno di pace, e non di controversie religiose. Gregorio rispose lodando l'Imperatore per la volontà di riportare la pace nella Chiesa, ma precisando, con toni decisi, che della contesa era responsabile il Patriarca, che aveva usurpato un titolo non suo: ”Quando noi lasciamo la posizione che ci spetta, e assumiamo noi stessi onori indecenti, alleiamo i nostri peccati con le forze dei barbari... Maestri di umiltà e generali di superbia, noi nascondiamo i denti da lupo dietro un volto da pecora. … Colui che ricevette le chiavi del Regno dei Cieli... non fu mai chiamato Apostolo Universale; e ora il più Santo Uomo, il mio vescovo collega Giovanni rivendica il titolo di Vescovo Universale. … Tutta l'Europa è nelle mani dei Barbari... e, malgrado tutto, i preti ... cercano ancora per sé stessi e fanno sfoggio di nuovi e profani titoli di superbia!”. Ma da Costantinopoli non giunse alcun segnale distensivo, e anzi il successore di Giovanni Nesteute, Ciriaco, mantenne il titolo di "Patriarca Ecumenico" che i patriarchi di Costantinopoli non abbandonarono più nonostante un decreto dell'Imperatore Foca (successore di Maurizio) avesse riconosciuto il primato della Chiesa di Roma. Gregorio reagì assumendo il titolo di “Servus Servorum Dei”, che da allora fu mantenuto dai pontefici romani.
Amministrazione interna
Nei territori che cadevano sotto la propria responsabilità amministrativa in Italia, nel cosiddetto Patrimonio di San Pietro, Gregorio seppe far fronte, aiutato da una rete di funzionari, a una serie di problemi che le continue alluvioni, carestie e pestilenze rendevano particolarmente gravi; ebbe cura degli acquedotti e favorì l'insediamento dei coloni eliminando ogni residuo di servitù della gleba. Riuscì a intrattenere rapporti epistolari anche con il re della Barbagia, Ospitone, e cercò di dissuadere quella popolazione dall'idolatria e dal paganesimo, convertendo Ospitone stesso al Cristianesimo. L'interesse per le popolazioni delle isole tirreniche, lo indusse ad intercedere in loro favore presso l'imperatrice Costantina affinché venisse ridotta l'elevata pressione fiscale e posto un freno alla rapacità dei funzionari, che costringevano i genitori a vendere i figli e molti a trasferirsi per la disperazione in territorio longobardo, mentre le proprietà venivano confiscate arbitrariamente.
Il canto gregoriano
Gregorio riorganizzò a fondo la liturgia romana, ordinando le fonti anteriori e componendo nuovi testi. L'epistolario (ci sono pervenute 848 lettere) e le omelie al popolo documentano ampiamente sulla sua molteplice attività e dimostrano la sua grande familiarità con i Testi sacri.
Promosse quella modalità di canto tipicamente liturgico che da lui prese il nome di "gregoriano": il canto rituale in lingua latina adottato dalla Chiesa cattolica, che comportò, di conseguenza, l'ampliamento della Schola cantorum. Paolo Diacono e alcune illustrazioni di manoscritti dal IX al XIII secolo tramandano una leggenda secondo la quale Gregorio avrebbe dettato i suoi canti ad un monaco, alternando la dettatura a lunghe pause; il monaco, incuriosito, avrebbe scostato un lembo del paravento di stoffa che lo separava dal pontefice, per vedere cosa egli facesse durante i lunghi silenzi, assistendo così al miracolo di una colomba (che rappresenta naturalmente lo Spirito Santo), posata su una spalla del papa, che gli dettava a sua volta i canti all'orecchio. In realtà i manoscritti più antichi contenenti i canti del repertorio gregoriano risalgono al IX secolo e pertanto non si sa se lui stesso ne abbia composto qualcuno.
Le opere
Di Gregorio sono rimasti diversi scritti di vario genere:
- Sacramentarium Gregorianum - con cui riformò il canone della messa, rendendola più semplice ma più solenne;
- Antiphonarius - la nuova redazione del libro dei canti liturgici;
- Homiliae (40 omelie sui Vangeli (Homiliae in Evangelia), 22 su Ezechiele (Homiliae in Hiezechihelem prophetam), 2 sul Cantico dei cantici);
- Dialoghi – in 4 libri: il primo e il terzo su santi italiani a lui coevi, il secondo monografico su san Benedetto da Norcia e il quarto riguarda in particolare il destino dell'anima dopo la morte e narra di alcune profezie; è l'unica opera di Gregorio di livello veramente basso ed intellettualmente povera;
- Moralia in Iob – 35 libri di esegesi del libro veterotestamentario di Giobbe;
- Regula Pastoralis – manuale per la vita e l'opera dei vescovi e in generale di coloro che ricoprono il ministero pastorale;
- Commento al primo Libro dei Re;
- Circa 850 lettere sopravvissute dal suo Registro (Registrum Gregorii): inestimabile fonte primaria, anche storica, sull'epoca di Gregorio;
- Opera Omnia dal Migne patrologia Latina con indici analitici.
Il Liber Pontificalis, il testo ufficiale che ha riportato per secoli l'attività dei pontefici di Roma, presenta Gregorio esclusivamente sotto l'aspetto dell'attività religiosa, stranamente tacendo su tutti i contatti e le scelte politiche da lui effettuate, sia con i Longobardi che con i Bizantini.
Culto
Papa Gregorio I morì il 12 marzo 604 e fu sepolto nella Basilica di San Pietro.
Nella Chiesa cattolica la sua memoria liturgica ricorre il 3 settembre, mentre nella Chiesa greca il 12 marzo.
Dal Martirologio Romano (ed. 2001):
«12 marzo - A Roma presso san Pietro, deposizione di san Gregorio I, papa, detto Magno, la cui memoria si celebra il 3 settembre, giorno della sua ordinazione.»
«3 settembre - Memoria di san Gregorio Magno, papa e dottore della Chiesa: dopo avere intrapreso la vita monastica, svolse l'incarico di legato apostolico a Costantinopoli; eletto poi in questo giorno alla Sede Romana, sistemò le questioni terrene e come servo dei servi si prese cura di quelle sacre. Si mostrò vero pastore nel governare la Chiesa, nel soccorrere in ogni modo i bisognosi, nel favorire la vita monastica e nel consolidare e propagare ovunque la fede, scrivendo a tal fine celebri libri di morale e di pastorale. Morì il 12 marzo.»
San Gregorio Magno è patrono principale di:
- Valdobbiadene (provincia di Treviso e diocesi di Padova),
- San Gregorio Magno (provincia di Salerno), unico paese in Italia intitolato al suo nome,
- San Gregorio di Catania (provincia e arcidiocesi di Catania),
- Manduria (provincia di Taranto e diocesi di Oria), la cui chiesa madre custodisce la reliquia di un frammento d'osso del suo braccio destro,
- Vizzini (provincia di Catania e diocesi di Caltagirone),
- San Gregorio da Sassola (provincia di Roma e diocesi di Tivoli),
- Crispano (città metropolitana di Napoli e diocesi di Aversa),
- Roverbella (provincia e diocesi di Mantova),
- San Gregorio nelle Alpi (provincia di Belluno e diocesi di Belluno-Feltre),
- San Gregorio d'Ippona (provincia di Vibo Valentia),
- Configni (provincia di Rieti),
- Casola, frazione del comune di Domicella (provincia di Avellino e diocesi di Nola), dove sarebbe custodita una reliquia d'osso della sua mano destra.
Bibliografia
- Giorgio Ravegnani, I Bizantini in Italia, Mulino, Bologna, 2004.
- Claudio Rendina, I Papi. Storia e segreti, Newton Compton, Roma, 1983
- Gabriele Pepe, Il Medio Evo barbarico d'Italia, Einaudi, Torino, 1971
- Indro Montanelli-Roberto Gervaso, L'Italia dei secoli bui, Rizzoli, Milano, 1965.
- Paolo Brezzi, La civiltà del Medioevo europeo, vol. I, Eurodes, Roma, 1978
- (LA) Papa Gregorio I, Dialogi, Roma, Tipografia del Senato, 1924. URL consultato il 16 aprile 2015.
- (LA) Papa Gregorio I, Dialogi. 1, Palermo, Scuola Tip. Boccone Del Povero, 1913. URL consultato il 16 aprile 2015.
- (LA) Papa Gregorio I, Dialogi. 3, Palermo, Scuola Tip. Boccone Del Povero, 1932. URL consultato il 16 aprile 2015.
- Papa Gregorio I, Homiliae in Evangelia, Impresso a Mediolano, mediante la gratia di Dio de li prudenti homini Leonardo Pachel e Uldericho scinzcenceller de allamagna per loro industria, MCCCCLXXVIIII adi XX del mese de augusto. URL consultato il 16 aprile 2015.
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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