Le strade consolariFra le grandi opere architettoniche e urbanistiche ancora rimaste visibili ai nostri tempi vi sono proprio le strade consolari, considerate tra le realizzazioni più gloriose e durature di Roma antica e che erano ideate da veri e propri specialisti: ne furono totalmente lastricate per circa 100 mila chilometri ed altre 150 mila lasciate in terra battuta. Vennero costruite anche in territori molto lontani da Roma, come in Inghilterra. L’arte di costruirle si pensa derivi dagli etruschi, di cui i romani migliorarono sia metodo che materiali usati. Molte vie consolari quindi ricalcarono gli antichi tragitti già segnati dagli antichi ed è a loro che si deve il tracciato di alcune parti di quelle più note: la Clodia, la Cassia e l’Aurelia. I romani iniziarono a costruire strade intanto che avanzavano nelle loro conquiste anche per ingraziarsi le popolazioni che mano a mano cadevano sotto la loro amministrazione. Costruire una carreggiata era quindi una responsabilità militare, che pesava sotto la giurisdizione di un console: attraverso essa le legioni potevano spostarsi e trasmettere messaggi più velocemente, ma anche ritirarsi dai conflitti prima che gli avversari si riorganizzassero. Le strade consolari erano percorsi extraurbani che partivano da Roma e avevano per lo più creazione inizialmente spontanea. Il loro nome infatti coincide con le città verso cui conducevano, o con la funzione principale per cui erano state edificate, o anche col nome delle popolazioni che raggiungevano.Le stratae (da cui, appunto, il termine strada) consolari venivano tracciate generalmente in posizione centrale rispetto al territorio che attraversavano ed erano collegate tra loro dalle cosiddette vie rusticae che potevano essere invece in terra battuta. Gli etruschi le costruivano in tufo compatto, mentre per i romani dovevano durare a lungo ed erano così importanti che veniva seguita una procedura ben precisa per costruirle. I primi a lavorare sul tracciato, che veniva segnalato da pali infissi nel terreno, erano i libratores coloro che, con gli aratri e aiutati dai legionari con le spade, scavavano il terreno fino ad arrivare allo strato più solido. Le stratae, infatti, si chiamavano così perché composte di strati: il più profondo era d’argilla, sopra cui si stendeva il rudus, piccole pietre e mattoni impastati con la calce. Sopra a questo veniva posto un altro strato detto nucleus sul quale venivano appoggiate lastre di pietra levigate che combaciavano: questo era il summum dorsum. Negli interstizi che rimanevano tra i pietroni veniva infilato del pietrisco. Questi veri e propri letti di roccia sbriciolata facevano sì che l’acqua filtrasse anziché allagare la carreggiata: il centro strada era infatti leggermente rialzato per favorirne lo scolo. Ognuna di queste vie doveva essere sufficientemente larga da lasciar passare almeno un carro (da qui deriva il termine carrozzabile o carreggiata), ovvero circa 5 metri. Le strade si dividevano quindi in due categorie: le vie private, solitamente sterrate, che venivano indicate con il nome di agrarie, e quelle pubbliche, dette anche pretorie o consolari che prendevano nome dal costruttore a seconda della sua carica. A partire dal IV secolo, infatti, venne avviata la tracciatura di nuovi itinerari diretti verso le regioni più lontane per motivi militari per cui vennero inviati soldati ed esperti a realizzarle. L’esercito si accampava ad un certo punto del tragitto e da lì iniziava la strada di congiungimento con il tratto rimasto alle sue spalle, il tutto per garantire agli occupanti una ritirata veloce in caso di attacco. Le carreggiate erano importantissime anche nel cuore dell’Impero ed erano molto trafficate sia a piedi che a cavallo o su carri di ogni tipo. Erano costruite con tale perizia da essere resistenti alla pioggia, al gelo e alle inondazioni e non avevano quasi bisogno di riparazioni, tanto che molti tratti delle strade consolari sono ancora oggi percorribili ed intatti.Lungo il percorso esisteva un efficiente sistema postale equestre che diveniva utile soprattutto per trasmettere ordini in caso di guerra. Per questo a circa 20 chilometri di distanza l’una dall’altra esistevano degli statium (stazioni di posta) dove si poteva alloggiare, cibarsi, riparare i carri e trovare ristoro per le bestie. Ai lati delle carreggiate venivano costruiti anche marciapiedi lastricati, i crepidines. Ogni mille passi una pietra indicava la distanza percorsa a partire dal Miliario Aureo, un obelisco che l’imperatore Augusto aveva fatto montare nel centro del Foro Romano (da qui il detto: tutte le strade portano a Roma). Su queste pietre miliari, oltre che inciso il numero di miglio a cui si era giunti, veniva scolpito il nome del costruttore e le caratteristiche con cui la carreggiata era stata edificata. I Romani però studiarono anche soluzioni alternative e a seconda dell’importanza edificarono strade un po’ in tutti i modi. Per sorpassare i terreni paludosi che spesso si trovavano ad affrontare nei loro avanzamenti militari, usarono anche percorsi rialzati con pietrisco o i pontes longi, lunghi ponti fatti con tronchi d’albero. Altre erano scavate nel tufo, oppure pavimentate con ciottoli (il galeratum). La concezione dell’Impero Romano dell’uso del territorio e della forza si esplicava anche nella costruzione delle strade, che dovevano venire tracciate perlopiù diritte tanto che ogni ostacolo che veniva incontrato lungo il percorso non doveva essere aggirato, ma affrontato direttamente. I romani costruirono per questo anche intere gallerie a forza di braccia, che sono ancora oggi usate dal nostro traffico automobilistico. Via LatinaE’ la strada più antica conosciuta dai Romani, essendo già tracciata in età preistorica ed usata attivamente anche dagli etruschi per collegare Roma alla Campania attraverso il centro religioso del Monte Albano. Si dipartiva dal centro di Roma presso l’Isola Tiburtina e i Romani la potenziarono durante le guerre sannitiche per la conquista della Campania e della Lucania: tra il 328 e il 312 a.C. venne allargata ma non essendo ancora diffusa la tecnica della pavimentazione in pietra, fu realizzata in terra battuta. A questa via, nel 312 a.C., venne aggiunta una nuova strada, che prese il nome di via Appia. In seguito venne ultimata fino a Capua. Il tracciato della via subì, durante il secolo III a.C. uno straordinario lavoro di rettificazione reso complesso dalle notevoli asperità del terreno: un unico tratto rettilineo di 15 chilometri comprendeva un viadotto alto 7 metri dove la strada incontrava un fosso, anticipando di fatto il criterio delle moderne autostrade. Da 147 miglia di cui era composta, i romani riuscirono a portarla con le opportune modifiche a 129 totali, riducendo così a cinque i giorni di cammino per poterla interamente percorrere. Via SalariaIl nome di questa via, contrariamente al solito, prese il nome dalla sua funzione principale: era infatti il percorso attraverso il quale il sale giungeva fino a Roma. Furono gli antichi Sabini a tracciarla fino ai luoghi di produzione sul mare Adriatico che erano posti presso la foce del Tevere dove esistevano vaste saline. Per il libero commercio del sale esistevano addirittura trattati tra Sabini e Piceni e risulta che la via fosse già in uso quando i Galli mossero contro Roma nel 390 a.C. La Salaria collegava infatti la capitale fino al porto di Hadria, o Atri, vicino ad Ascoli. Era messa in comunicazione con la via Campana e costituì per i romani un collegamento viario strategico ed unitario, presente ben prima della fondazione di Roma. Via Appia(312 a.C., Appius Claudius Caecus censore) Via Tiburtina-Valeria(286 a.C., Marco Valerio Massimo Potito console) Via Flaminia(220 a.C. Gaio Flaminio Nepote, console) Via Emilia(189 a.C.) Via Postumia(148 a.C., Postumio Albino console) Via Capua Regium(Via Popilia e Via Annia, 132 a.C.) Via Cassia(154 o 127 a.C.) Via Aurelia(III sec. a.C., Gaio Aurelio Cotta console) |
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