Misure di capacità romane per liquidi e per aridi

Probabilmente la prima misurazione accurata di cui si preoccuparono gli uomini nei tempi più antichi fu quella di lunghezza: il piede divenne così l’unità cui si riferivano tutti coloro che praticavano il commercio tra le coste del Mediterraneo. Furono i greci coloro che la esportarono e questa misurazione rimase di base nella matematica nei secoli a seguire per ciò che riguardava anche il calcolo delle aree e, appunto, dei volumi e delle capacità di contenuto dei recipienti.

Questo perché con il sorgere e lo sviluppo di scambi commerciali si rese necessario unificare modi e mezzi per misurare anche le quantità di merci per le quali non si poteva ricorrere al semplice conteggio unitario come nel caso del grano, per esempio. Divenne perciò assolutamente indispensabile capire come pesare o quale spazio potevano occupare le merci più diverse.

Ciò era reso tanto più necessario per riuscire a contare le quantità dei liquidi, che potevano essere tenuti insieme solo in contenitori specifici, o per misurare sostanze impossibili da contare una alla volta, come per esempio le polveri. In agricoltura divenne fondamentale capire come contare i frutti della terra, come i semi per esempio, che costituivano le materie prime della sussistenza del lavoro nei campi.

Nei tempi più antichi presso i romani, il volume delle anfore da trasporto, classe da cui prende nome la misura fondamentale, sembrava variare in relazione al contenuto. Accadde così che il sistema di misure di capacità romano venisse fortemente influenzato da quello attico, ormai organizzato secondo regole precise durante il periodo ellenistico.

L’unità di base divenne il quadrantal (come veniva chiamato in latino) o amphora (il nome greco), uguale alla medesima unità adoperata in Attica e di volume pari al piede cubo (la cui lunghezza era stabilita in 29,6 cm), ovvero 80 libbre di peso, 26,2 litri di capacità.

Queste dimensioni furono stabilite da una legge precisa — detta lex Silia — emanata intorno al 200 a.C. nella quale vennero definite tutte le controversie aventi per oggetto pesi, numeri o misure.

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L'importanza del ruolo delle dimensioni nell'Italia antica è attestato dalle numerose rappresentazioni di strumenti e di azioni di misurazione. Le mensae mensurariae o ponderariae erano tavole di pietra con incisi i campioni di riferimento che sorgevano numerose nei luoghi pubblici delle città, spesso donate da privati cittadini. Ogni negozio di alimenti (thermopolium) disponeva di una propria serie di recipienti standard per stimare il vino e altre derrate liquide. Le più famose mensae mensurie possono essere ammirate a Minturno, Ostia, Pompei e Tivoli.

L’amphora, o amphora quadrantal era quindi l’unità che serviva per misurare i liquidi o le merci che non si possono contare perché troppo piccole come i grani o i semi. Durante il periodo dell’Impero serviva anche come unità di riferimento per stimare la capienza di una nave o la produzione di una vigna.

Non era però una misura usata in maniera equivalente ovunque, già che per i Romani valeva circa 26 litri (poiché un piede italico era stabilito in 29,6 cm): i Greci infatti suddividevano le amphoras a seconda dei popoli con i quali commerciavano e quindi il loro contenuto poteva variare da 18,5 litri (quelle basate sul piede italico, che per loro era più piccolo, ovvero pari a 26,5 cm) fino a 36 (pes ptolemaikos, che per i greci valeva 33,1 cm). Ad ogni buon conto i romani durante l’Impero avevano provveduto a depositare una amphora standard, la amphora capitolina, che veniva custodita nel tempio di Giove sul colle Capitolino a Roma.

Unità di misura per liquidi


UnitàSesterilitri
ligulapiccolo cucchiaio1/480,01
cyathuscucchiaio1/120,4 cl
sextanssestante1/60,9
trienstriente1/30,18
heminaemina1/20,27
cheonixcheonix2/30,36
sextariussestero10,54
congiuscongio63,24
urnaurna2412,96
amphora (quadrantal)anfora4825,92
dolium11 anfore528285,12
culleusotre960518,4

Per quanto è possibile stabilire, le anfore vinarie più diffuse tra I sec. a.C. e II sec. d.C. nel mondo romano avevano una capienza media di circa 1 quadrantal o di poco superiore. In seguito, tra la fine del I e il III sec. d.C., alcuni tipi di contenitori, probabilmente destinati alla conservazione e al commercio del vino, coprono una gamma completa di dimensioni e capacità, dal formato di circa 2 congii, all'urna, al quadrantal e mezzo.

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Le anfore adibite al trasporto di olio o di pesce conservato tra I e IV sec. d.C. hanno una portata media maggiore, pari o superiore ai 2 quadrantalia. Le iscrizioni sui dolia rinvenuti in una serie di relitti databili tra la metà di I sec. a.C. e la metà del I sec. d.C. indicano chiaramente che la capacità era per lo più calcolata in quadrantalia.

Il dolium (plurale dolia) era un contenitore di terracotta sferico destinato ai trasporti via mare: aveva un diametro di circa un metro e mezzo, che poteva contenere 1500-2000 litri di vino. I dolia venivano fissati nella parte centrale della nave, mentre lo spazio che rimaneva libero era occupato dalle anfore. In questo modo si poteva risparmiare sia sulla quantità che sull’acquisto dei contenitori per esportare maggiori quantità di merci. Ogni dolium poteva contenere undici anfore di vino.

Altra unità di misura di base usata per la misurazione dei liquidi era il congius, che poteva contenere un ottavo di anfora ed era pari al cubo di mezzo piede. Era meno usato nel commercio e nell’uso quotidiano era il tipico vaso dove si conservava il vino. Il nome di congius era la traduzione in latino del termine chous, misura usata dagli antichi greci che equivaleva a circa 3,48 litri.

A queste misure ufficiali col tempo venne aggiunto anche il colleus che era un’unità di misura già in uso nella penisola italica. Si trattava di un sacco di cuoio la cui portata era pari al contenuto di 20 anfore (525,3 litri). Nella vita quotidiana era un contenitore di cuoio a tenuta stagna utilizzato soprattutto per il trasporto o la conservazione di alimenti. Oggi è indicato col nome di otre.

Unità di volume per aridi


UnitàModiilitri
acetabulumcucchiaio grande1 / 1280,06
quartariusquarto (di sestero)1/640,13
heminaemina1/320,27
sextariussestero1/160,54 cl
semodiussemodio1/24,32
modiusmoggio18,64
quadrantal (amphora)quadrantale325,92

L’unità di volume di base, qui, è il modius (moggio) che era usato per valutare la quantità di grano, quindi soprattutto degli aridi, ma anche per misurare i volumi: era pari a quasi 9 litri, un terzo dell’amphora quadrantal, ma col tempo il suo valore ingrandì e cambiò di significato e destinazione. Il moggio infatti viene ancora usato oggi in agricoltura: il suo uso si sovrappose infatti alla misura dell’area di terreno che poteva essere seminata, appunto, con la quantità di grano contenuta in un moggio, divenendo così una unità di misura agraria ben precisa ed usata ancora oggi non solo per definire le aree, ma anche per indicare un recipiente di quella capacità.

L’emina era una misura che si riferiva alla manciata, ovvero quello che si poteva portare con una mano curvata ed il sestario erano le due mani tenute insieme unite. Il termine deriva dal greco e significa metà, poiché era la metà di un sextarius.

Il sextarius era un sottomultiplo del moggio, che poteva variare come valore tra lo 0,53 e lo 0,54 litri. Veniva usato sia per misurare i liquidi che gli aridi, come grano e miglio. I Romani stessi definivano comunque il sextarius come «pari alla quarantottesima parte di una amphora quadrantal». Con il tempo il suo nome variò e ancora oggi viene usato in agricoltura con il termine italiano di staio.